“Non riesco a soddisfare il mio vuoto”

di Sara Vellani

Mi chiamo Sara ed ho 28 anni.
Vivo a Sassuolo con la mia famiglia ed ho una vita ricca di impegni. Sono molto curiosa, mi piace imparare e mettermi alla prova in situazioni nuove, affrontando anche sfide per me stessa e per gli altri.
Ho studiato Marketing e Organizzazione d’impresa presso Unimore conseguendo la laurea triennale, poi ho conseguito una seconda laurea in Giurisprudenza.
Nel mio percorso formativo mi sono sperimentata in varie situazioni e contesti che mi hanno permesso di capire che mi piace molto un lavoro di tipo impiegatizio, ma anche che trovo soddisfazione nello spendermi nel contatto umano e nella relazione con le altre persone.
Terminati gli studi universitari ho sentito il desiderio di presentarmi al mondo del lavoro.

Ma perché una persona con disabilità dovrebbe lavorare?
Spesso mi viene fatta questa domanda, e sinceramente non è facile trovare una risposta. Devo dire che l’aspetto pratico del lavoro, l’avere uno stipendio per poter sostenere le mie spese, per me è secondario; la voglia di lavorare in un contesto professionale parte dal desiderio di impegnarmi e sfidarmi in un’attività stimolante che mi faccia sentire realizzata. Come del resto dovrebbe essere per tutte le persone.
Mi sono però scontrata con varie difficoltà: innanzitutto ho capito che non è così facile scegliere un impiego, e che aver studiato ed essere preparati non necessariamente apre le porte che si vorrebbe. Ho capito anche che il mio bisogno di essere aiutata sia per quanto riguarda l’assistenza personale, sia per le mansioni strettamente lavorative, non mi può essere sempre garantito. E allora, ogni tanto, mi chiedo se il mio desiderio di tenermi impegnata e di dare un senso alle attività che faccio quotidianamente, debba necessariamente essere legato ad una attività professionale o se invece io possa scegliere all’interno dei contesti in cui già sono inserita non solo cosa preferisco fare, ma anche avere la possibilità di provare cose e mansioni nuove.
Si da per scontato che una persona con disabilità debba accettare tutte le attività che le vengono proposte all’interno di un contesto e che vi aderisca quasi senza essere interpellata, come se quello che viene sottinteso è “è già tanto che tu riceva delle proposte, non puoi pretendere di sceglierle tutte…; per questioni organizzative dobbiamo fare così, fare quello che vuole la maggioranza, non il singolo, perchè se stiamo ad ascoltare i desideri di tutti…”.
Gli stessi ambienti che frequento tutti i giorni hanno delle preclusioni: perchè non posso stare in un ufficio di coordinamento di una cooperativa ( con un piccolo ruolo alla mia portata ), o svolgere mansioni di segreteria in una associazione? Gli stessi ambienti inclusivi a volte sono preclusivi.
A me piace scegliere!
Tornando a me: penso che forse, rovesciando la questione, il mio desiderio nasce da un vuoto e da una tensione che ad oggi non trova spazio di realizzazione all’interno del mio piccolo grande mondo. E allora: cosa posso fare? Alcune volte mi sembra di essere in un vicolo cieco: faccio tante attività ma che non soddisfano pienamente la mia voglia di autodeterminazione e autostima, così ne cerco di altre, ma sono inaccessibili. Cosa fare allora, se ogni strada che percorro non conduce da nessuna parte?
Per carattere non mi abbatto facilmente e mi ripeto che quello che è in mio potere cambiare deve partire da me stessa, evolvermi, sviluppare competenze sempre più specifiche di mio interesse, migliorare le parti di me più fragili.
Ho letto un articolo di Gramellini e mi ha colpito molto questa affermazione: “Abbiamo fatto credere alle persone che possono diventare tutto ciò che vogliono. Invece ciascuno diventa solo ciò che ha imparato a essere”. Condivido molto questo pensiero ed è quello che sto facendo: imparare ad essere la miglior versione di me stessa, prepararmi su aspetti che mi appassionano e interessano, progredire e andare sempre avanti con impegno e serietà.