Rocco Tanica: “Si può scherzare su tutto se la battuta è buona”

Rocco Tanica, in esclusiva Sul Serio

di Nicolas Friggieri e Federico Magnani

RoccoTanica©2024

Ciao Rocco.
La nostra redazione è formata anche da persone con disabilità, a volte sia fisica che cognitiva.
Abbiamo la certezza che molti pensino che con noi non si possa scherzare quando in realtà siamo i primi a prenderci per il culo a vicenda.
Quali sono i limiti dello scherzo e della presa in giro? Come si riconoscono?

Risposta contraddittoria, almeno in apparenza: non ci sono limiti SE si ha coscienza dei limiti. Intendo: si può scherzare su tutto e tutti ma tenendo conto di alcune variabili; la prima è la forza della battuta, l’impatto umoristico. Se fai una battuta scontata, prevedibile, non aggiungi niente all’argomento, anzi contribuisci al “rumore di fondo”, cioè chiacchiere che si aggiungono ad altre chiacchiere. Se invece affronti un tema, qualunque esso sia, aggiungendo uno spunto per il ragionamento di chi ascolta, con sufficienti strumenti linguistici, culturali, addirittura divulgativi, puoi permetterti anche parolacce, accostamenti irriverenti, provocazioni. Questo perché l’impatto della battuta è controbilanciato dalla qualità del testo. Un tipico esempio è la comicità di Ricky Gervais, che scherza su argomenti “pesanti” come la morte ma lo fa espandendo la riflessione a partire dalla sua posizione di ateo: “Quando sei morto non soffri, soffrono solo gli altri; come quando sei stupido”.

Quale scherzo o perculata ti è venuta meglio? Sia nelle canzoni degli EelST ma anche al di fuori. 

Il repertorio di EelST è pieno di doppie letture, dalle musiche che evocano stili altrui – colleghi, star della canzone – mettendoli in ridicolo (esempio la canzone “Concerto del primo maggio”), a testi che al primo ascolto sembrano riferirsi all’argomento A e invece parlano dell’argomento B (esempio “La terra dei cachi”, che molti credono un brano critico nei confronti dei vizi e delle virtù del Bel Paese e invece è una parodia specifica di quel genere di canzoni).

Fra le migliori iniziative del simpatico complessino, a mio avviso, c’è stata quella di introdurre “messaggi segreti” all’interno delle canzoni registrati al contrario, così da poter dire peste e corna di chicchessia facendosi comprendere solo da chi ha voglia e iniziativa di analizzare a fondo la traccia audio.

Fra i migliori scherzi che ho fatto personalmente c’è stato quello – elaboratissimo – di fotografare la nuova casa di un amico che in quel momento si trovava all’estero e di modificarla con Photoshop facendo credere all’amico che l’edificio era in demolizione approfittando della sua vacanza. L’amico ci è felicemente cascato e ha addirittura chiamato gli avvocati per fare causa all’impresa di costruzioni-distruzioni. Quando ho visto che la cosa diventava ingestibile ho confessato e abbiamo riso molto insieme.

E lo scherzo non riuscito che ti ha creato amarezza e pentimento?

Una cazzata giovanile, periodo liceale. Con un amico cazzaro come me disseminammo la città di finti annunci di una casa d’appuntamenti (insomma un bordello) il cui indirizzo e numero di telefono erano quelli di una nostra compagna di scuola particolarmente odiosa. Il risultato fu che decine di persone si presentarono in portineria chiedendo di Isabella, altre centinaia telefonarono, si scatenò il caos. Messi alle strette – eravamo i sospetti n. 1 – dovetti ammettere che per quanto divertente per noi, quella non era stata un’iniziativa particolarmente illuminata.

Secondo te l’essere umano nasce perculante oppure lo diventa?

Chi è perculante da grande in genere lo era già da piccolo. I miei amici d’infanzia più divertenti sono persone spassose anche oggi con i capelli bianchi. Poi certamente l’ambiente e le persone che si frequentano influenzano l’atteggiamento nei confronti dello scherzo e della battuta. Io ho iniziato a scrivere materiale di cabaret per e con Claudio Bisio sul finire degli anni ’80 e ho capito da subito che mi piaceva quel mondo e quel modo di interpretare la realtà in chiave comica.

RoccoTanica©2024

A scuola eri popolare? O eri un bersaglio per gli altri? La tua vena artistica è maturata anche in seguito a determinate difficoltà giovanili?

La mia carriera scolastica è stata molto breve, licenza media, tre anni di liceo poi abbandonato. Quindi posso riferirmi solo al periodo “socialmente attivo”, quello delle scuole medie in cui uscivo dall’infanzia per approdare a un modo più strutturato seppure a misura di ragazzino (le compagnie di amici, le feste in casa). Non ero particolarmente popolare, mi muovevo abbastanza sottotraccia senza espormi, studiavo le persone e i loro modi. In cambio avevo la simpatia di poche persone a me affini. C’è stato un periodo particolare in cui venivo preso parecchio in giro perché ero magrissimo con la testa grossa (60cm di circonferenza, come da adulto) e mi subissavano di battute, alcune devo ammettere particolarmente riuscite. La mia preferita: “La mamma di Sergio [è il mio nome di battesimo] dice: «Sergio, vai nel frutteto e raccogli 10 chili di mele» «Ma mamma, 10 chili sono tantissimi, dove li metto?» «Ma come, dove li metti. Ma nel cappellino!»

Il tuo stand up comedian preferito?

Fra gli italiani Maurizio Milani. Lo ritengo un genio della parola. Ha una visione impareggiabile del mondo e dei rapporti umani, e uno stile di scrittura semplice e al contempo raffinato.

Fra gli stranieri senz’altro Ricky Gervais e Louis C.K.. “Cattivi” quanto basta ma sempre con un forte impatto linguistico e teatrale.

Hai raccontato più volte l’esperienza che hai vissuto tra depressione e disagio psichico. Anche su questo sai scherzare?

È stato proprio quando ho imparato a scherzare sulle mie difficoltà che ho cominciato a riprendermi dal mio periodo difficile. In particolare quando un giorno ho ricevuto una telefonata inaspettata dell’amico (e persona meravigliosa, e musicista impeccabile) Gianni Morandi. Io esitavo, non ero pronto a condividere la mia condizione; per dirla tutta “mi vergognavo”. Per dare un’idea precisa della mia condizione mi trovavo sdraiato in lacrime sul pavimento di una casa che avevo affittato in Finlandia e parlavo a malapena. All’improvviso mi sono VISTO come da un punto d’osservazione esterno e sono riuscito a decodificare il momento: ero un tizio appallottolato sulle piastrelle che ascoltava in vivavoce il suo cantante preferito che parlava di progetti per il futuro. Mi è sembrata una scena tragicomica. Ho iniziato a ridere tra le residue lacrime, riuscivo finalmente a prendermi in giro, a non sentirmi il poverino più sfortunato del mondo. Ero semplicemente uno qualsiasi che aveva il privilegio e la gioia della vicinanza di una persona eccezionale come Gianni. Questo episodio è descritto nei particolari in un libro che ho pubblicato nel 2018, Lo sbiancamento dell’anima; nei tre capitoli dal titolo “Banane e làpponi”, per parafrasare la canzone di Morandi “Banane e lampone”.

Chiudiamo così: Bruno Martino ha armonie e versi che ci pare ritrovare nelle vostre canzoni. “Estate” è citata in “Tapparella”? O sembra a noi? “Baciare, palpare, amare…”

Siete proprio degli impertinenti. Allora: le nostre canzoni sono strapiene di citazioni musicali altrui. Alcune sono volontarie (esempio “T.V.U.M.D.B.” che cita apertamente “After the love has gone” degli Earth, Wind and Fire, o “Bis”, che richiama il Ligabue di metà anni ’90), altre del tutto involontarie e innocenti. L’esempio più eclatante è la canzone “Alfieri”: solo una decina d’anni dopo averla scritta ci siamo accorti che è la prima parte è praticamente identica a “Il tuo popolo in cammino”, canto di chiesa della mia gioventù.

Per quanto riguarda “Tapparella” e “E la chiamano estate” di Bruno Martino: anche riascoltando entrambe non ho capito il frammento a cui vi riferite. Forse siamo innocenti, forse no. L’importante è che sia andato in prescrizione e non finiamo in penitenziario.