di Marina Cuollo
Era una notte strana a Napoli. Non che le altre fossero normali, ma quella in particolare sembrava uscita da un libro di racconti assurdi. In quel miscuglio di colori dove le luci dei lampioni danzavano come lucciole impazzite e le coppiette parlavano alle stelle per raccontare i loro sogni, c’era qualcosa di diverso. Una specie di brivido nell’aria, un’eccitazione che faceva rizzare le piume anche al piccione più sfaticato.
Gennaro il postino, famoso per consegnare le lettere con un giorno di ritardo ma i gossip in tempo reale, stava bevendo un caffè al Bar del Professore, proprio accanto a piazza del Plebiscito. Di fianco a lui, Assunta, la vecchietta del quartiere con una passione per le telenovelas e il ragù della domenica, ascoltava con attenzione. Al bancone, Salvatore il barista, con un bicchiere che sembrava non pulirsi mai, ascoltava pure lui di sottecchi.
“Uagliù, sentite questa”, iniziò Gennaro, abbassando la voce come se stesse per rivelare il segreto meglio custodito di Napoli. “Stasera ci sarà la notte dei gatti ululanti.”
Assunta, che a settant’anni suonati si vantava di aver visto tutto, aggrottò le sopracciglia. “E che r’è ‘sta pazziella?”
“Ogni cento anni,” spiegò Gennaro con l’aria di chi sa tutto, “tutti i gatti di Napoli si riuniscono sul tetto della chiesa di San Ferdinando e ululano alla luna. Si dice che chi riesce a vederli avrà fortuna per tutta la vita.”
“Fortuna?”, intervenne Salvatore con un sorriso scettico. “Mi sembra più una cosa da raccontare ai turisti.”
Intanto, i gatti di Napoli, notoriamente più intelligenti dei loro padroni, avevano già iniziato a radunarsi. C’era Pallino, il persiano di nonna Concetta, che camminava come se avesse un appuntamento con il destino. Totò, il randagio del porto, guidava la processione con l’aria di chi sa sempre dove andare. Persino Pulcinella, la gatta del sindaco, era in fila.
Mentre la notte avanzava, i gatti salirono uno ad uno sul tetto della chiesa degli artisti. La luna, brillante come una lampadina alogena, sembrava complice di quell’evento surreale. I gatti si disposero in fila, e quando l’orologio segnò la mezzanotte, iniziò una sinfonia che nessuno avrebbe mai dimenticato. Non erano miagolii, non erano versi: erano ululati, profondi e vibranti, come se i gatti stessero evocando antiche divinità lunari.
Gennaro, Assunta e Salvatore uscirono dal bar, attratti dal suono ipnotico. Si fermarono sotto la chiesa, osservando i gatti che ululavano alla luna. Per un istante, il tempo si fermò. E in quel momento, ogni piccolo dramma di Napoli – le liti di vicinato, i pettegolezzi, le preoccupazioni quotidiane – svanì, dissolto in una magia felina.
Il giorno dopo, Napoli era in fermento. “L’hai visto anche tu?” chiedeva la gente, e tutti annuivano con un sorriso che diceva più di mille parole.
Assunta, di solito pronta a criticare anche l’aria, si svegliò con una leggerezza inaspettata. Gennaro consegnò la posta con una puntualità sorprendente, e Salvatore, per la prima volta, trovò il bicchiere realmente pulito.
E i gatti? Tornarono alle loro vite, sapendo che, ogni cento anni, Napoli sarebbe stata loro per una notte.
Marina Cuollo è nata a Napoli nel 1981.
È laureata in Scienze biologiche e Dottore di ricerca in processi biologici e biomolecole.
Napoletana nel sangue e nell’anima, ama definirsi una scribacchina molesta perché le etichette non le sono mai piaciute. Quelle seriose poi, ancora meno.
Scrittrice, speaker radiofonica, autrice di podcast e content creator.
“A Disabilandia si tromba” è il suo libro d’esordio, edito da Sperling & Kupfer.
“Viola”, edito da Fandango, è il suo primo romanzo.
Marina ha scritto questo racconto per noi.