Il biglietto

Adil Bellafqih

Un racconto di Adil Bellafqih

«Ciao, splendida.»
La ragazzina accennò un sorriso. Sedici? Diciassette anni?

«Patrizio, piacere» disse lui, allungando la mano e facendo in modo che la manica del cachemire visone e seta cammello (marca Canali, s’intende) scoprisse l’ultimo Saxonia Thin ultrasottile (6,2 mm) targato A. Lange & Sohne, cassa oro bianco 18k. «Puoi chiamarmi Pat. Tutti mi chiamano Pat.»

La ragazzina strinse la mano. Aveva la presa flaccida di una lumachina sudata, un cappottino Zara (se le andava di lusso), jeans riciclati dall’armadio della sorella, ai piedi Converse tipo mercatino rionale. Peccato che tanta sciatteria fasciasse quel corpicino invidiabile. Le tettine sotto la maglietta erano ben puntate all’infuori.

Quindici? Quattordici? Forse quattordici. Meglio ancora.
«Aspetti il bus?»
La ragazzina annuì.


«Pure io. Non sono riuscito a trovare un taxi. Ci rendiamo conto?» disse sfilando di tasca l’iPhone Pro Max. «C’ho sganciato duemila per ’sta roba e guarda» disse, agitandole davanti lo schermo nero. «Non si accende. Te hai il telefono?»


«È scarico anche il mio.»

«Cos’è, Zimbawe millecinquecento?» disse allungando il collo per vedere se il bus si decideva ad arrivare.


«Manco una macchina, oh. Eri sul Frecciarossa pure te?»

La ragazzina annuì.


«Ah, ecco. Sganci per l’Executive e quello ti molla alla prima stazione sperduta di notte, regolare.»


«C’è stato un guasto.»

«See, vabbè, un po’ di manutenzione e via. Ho perso anche la prima gara» disse guardando l’orologio. «Ma pure questo s’è fermato? Cos’è, Burundi milleduecento più IVA?» disse battendo sul quadrante. «Ti piacciono le corse?»


«Corse?»


«Ippodromo. Quando punti su un cavallo che si chiama Ai confini della realtà e vinci dieci millini da dare di mancia, godi proprio, regolare.»


La ragazzina non disse niente.


«Ti ci porto, all’ippodromo. Facciamo una puntatina.»


La ragazzina non disse niente.


«Poi andiamo a bere due cose. Eh? Che dici?»

Alla fermata si trascinò un tizio che nemmeno Zara poteva permettersi. Puzzava di Ronco inacidito.


«No, no, no, no, no mancia fratelo, no mancia fratelo» disse Pat. Ci mancava il negro a guastargli la piazza. Regolare.

«Il bus» disse la ragazzina.


«Era ora. Senti, mi siedo con te, eh? Che dici? Che con ’sta gente in giro…»


Stava per salire quando il controllore lo fermò.

«Dove va?»


«Come dove vado, a sedermi.»


«Biglietto?»

«Ce l’ho, fenomeno.» Si frugò nelle tasche da tremila euro e trovò solo pelucchi. «Aspè, eh.»


Il barbone gli passò davanti con un sorriso, e il controllore gli timbrò il biglietto.


«Ma che ca…»


«Lei ha perso il suo biglietto molto tempo fa» disse il controllore. «Può prendere il bus sostitutivo. Passerà a momenti. Per quello, non è richiesto nessun biglietto.»

«Senta, il treno ha avuto un guasto…»


Un guasto?

Un incidente?


Un incidente.
Guardò la ragazzina e il barbone e tutti gli altri, seduti sul bus. A un tizio mancava metà faccia. A un altro un braccio. Un altro ancora aveva il torace sfondato. Erano tutti vestiti da poveri. Sorridevano.

«Il bus sostitutivo la porterà dove deve andare.»


Le porte gli si chiusero davanti.

Prima che l’autobus sparisse nel buio, Pat fece in tempo a leggere la destinazione sulla fiancata.


Paradiso.

Adil Bellafqih è nato nel 1991 a Sassuolo, dove vive.
Ha pubblicato per Mondadori i romanzi “Nel grande vuoto” e “Niente a parte il sangue”.

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