Handicappato? Disabile?

Si dice handicappato o disabile? E perché?

Le parole sono importanti.

di Rita Nasi

Molto spesso, quando parliamo di disabilità, può capitare di non sapere bene come esprimersi per non essere offensivi. Si cammina infatti sempre in bilico tra le gaffe e il pietismo. Per questo potremmo incorrere in errori dovuti al fatto che non siamo consapevoli che determinate parole possano ferire qualcuno o perché non sappiamo che, anche a livello medico, sono fuori uso. Possiamo però far entrare nel nostro linguaggio quotidiano terminologie che abbracciano e fanno convivere le differenze di cui si nutre la nostra società. Esistono moltissime espressioni per descrivere la disabilità, ma non tutte sono corrette.

Il miglior modo per sapere che parole usare è chiedere alle persone con disabilità quali usare. Sicuramente è scorretto utilizzare il termine handicappato/portatore di handicap perché sono definizioni che vengono dal modello medico dove l’handicap era visto come uno svantaggio e destino inevitabile della persona con disabilità. Anche il termine diversamente abile visto spesso come “meno offensivo” è ritenuto scorretto perché nasce sulla base di una norma accettata (l’essere abile) e definisce le persone che si discostano da questa norma e dal sistema abile-normativo. Anche invalido sarebbe meglio non utilizzarlo, termine che significa letteralmente “non-valido”, e nessuna persona dovrebbe essere identificata come non validaper le sue caratteristiche fisiche-intellettive-cognitive.

Cosa si può dire allora per parlare di disabilità?

In linea generale, quindi, per essere inclusivi quando parliamo di disabilità alcune parole da evitare le abbiamo citate, mentre quelle da usare dovrebbero essere: persone con disabilità (come scritto nella Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità) e persone disabili (se si vuole porre l’accento sul significato di minoranza oppressa).

Non bisogna confondere la disabilità con la persona né dare priorità ad essa. È sicuramente una parte della persona, ma non è l’unica e non è quella maggiormente caratterizzante. Bisogna fare un grande lavoro su noi stessi, imparare a decostruire alcune narrazioni che vedono la persona con disabilità come una vittima.

In conclusione, per non di sbagliare ed essere inclusivi, come ci dice Sofia Righetti – attivista per i diritti delle donne con disabilità, degli animali e per la comunità lgbtq – basta chiedere alla persona quali sono le parole da usare.